Davanti alla decisione della Consulta su Cappato, e all’immediato cicaleccio che ne è scaturito, ho pensieri confusi, o meglio: chiarissimi, ma che non riesco a far coerenti e consequenziali. Penso che anche in questo il pensiero-poesia mi ha salvato la vita e la testa: nel miracolo transitorio ma reale della convergenza dei punti di vista che passa attraverso la lingua e la struttura del testo.
Tutto questo per dire che prima e al di qua delle ragioni di ordine giuridico, filosofico e confessionale, mi sembra che nel non vietare a tutti i costi a qualcuno di uccidersi, ciò che perdiamo è quell’unico specchio, spesso smerigliato e unto, attraverso cui riconoscere noi stessi come presenti – e presenti all’universo.
L’ho intuito buttando giù questi versi, estemporanei come sanno esserlo i versi, che lascio qui a testimonianza anzitutto per me – e per chiunque passi di qui a leggere.
In treno
«Yalla, yalla» dice alla bambina,
«sbrigati» e ripete il mantra suo di madre,
la cantilena usata, «sbrigati, sta’ attenta,
non dare noia agli altri»
Lo specchio mostra gli uomini oltre gli uomini –
così ci sembra, a volte –
mostra i passi fatti e le intenzioni
«mi amerà, mi ucciderà, distruggerà il mio mondo?»
Anche la fretta, la cattiva consigliera,
è specchio – e vivere, e morire, e dove
stiamo andando adesso? –
in lei mi specchio – yalla
mentre l’impazienza svela l’ombra,
il punto convergente –
di che cosa? È morte questa,
è vita? È ostinazione?
(© Daniele Gigli – Condivisione autorizzata a fini non commerciali citando la fonte)